Olio EVO nuovo? Ecco come riconoscerne davvero la qualità nel piatto

C’è un momento dell’anno, tra ottobre e dicembre, in cui l’aria nei frantoi cambia profumo. Si riempie di verde, di foglie, di mandorla, di frutto fresco. È il tempo dell’olio nuovo, e chi è cresciuto tra uliveti e campagne lo sa bene: non c’è rito più radicato di quello che accompagna il primo assaggio sul pane caldo, ancora fumante.

Ma quanto siamo davvero capaci di riconoscere la qualità nel piatto, quando si parla di olio extravergine?
Sappiamo distinguerlo da uno commerciale, capiamo cosa significa davvero buono?
E, soprattutto, è corretto pensare che l’olio nuovo sia sempre il migliore?

La risposta, come spesso accade nelle cose autentiche, è: dipende.
Dipende da come è stato prodotto, da quando è stato raccolto, da come è stato conservato.
Un olio nuovo, per esempio, non è semplicemente “nuovo”. È il risultato di un processo minuzioso, rispettoso e profondamente legato al territorio. Ma torniamo alla domanda: quando un olio è davvero buono?

La freschezza non basta

Spesso si crede che basti acquistare un olio appena fatto per garantirsi la massima qualità.
In realtà, la freschezza non è sufficiente da sola.
Un olio può essere freschissimo ma prodotto male, con olive danneggiate, raccolte troppo tardi o lavorate a caldo, magari dopo ore di stoccaggio.

Per capire se è buono davvero, occorre che la sua freschezza sia sostenuta da una qualità di lavorazione impeccabile.
Non basta che l’olio sia “di quest’anno”. Deve essere:

  • estratto a freddo

  • ottenuto da olive sane

  • franto entro poche ore dalla raccolta

  • conservato correttamente, al riparo da luce, aria e calore

È la somma di questi elementi che dà senso alla parola nuovo in chiave qualitativa, non solo cronologica.

Il colore: la trappola visiva

Uno degli errori più comuni? Farsi ingannare dal colore.
Un olio nuovo tende ad avere tonalità più intense, a volte addirittura torbide se non è stato filtrato. Ma attenzione: non sempre un verde brillante corrisponde a un olio eccellente.

Il colore dipende da molti fattori, in primis dalla varietà delle olive e dal grado di maturazione.
Un olio da olive più mature sarà dorato, uno da frutti più acerbi sarà verde intenso.
Entrambi possono essere buoni, se ben lavorati. E se ben conservati.

Guardare il colore non basta: bisogna imparare ad annusare e assaggiare.

Il profumo: l’anima dell’olio

È nel profumo che si rivela la vera anima di un olio.
Appena versato nel piatto o riscaldato leggermente tra le mani, un olio nuovo deve sprigionare un bouquet fresco, netto, vegetale.
Si avvertono sentori di erba tagliata, di foglia d’olivo, talvolta di pomodoro verde o mandorla.

Un olio piatto, che non profuma, che resta anonimo al naso, non è mai un olio buono.
Anche se è stato prodotto poche settimane fa, anche se porta scritto “novembre 2024” sull’etichetta.

Il naso è il primo sensore di verità. Quando l’aroma è profondo, pulito, non sporco da muffe o ossidazioni, sei di fronte a un prodotto che merita rispetto.

Il gusto: dove tutto si gioca

Ma è al palato che si decide tutto. E qui entra in gioco la cultura gastronomica di chi assaggia.

Un olio nuovo, di quelli veri, è spesso uno shock per chi non è abituato.
Pizzica. Amaro. Ti costringe a fare attenzione. E proprio per questo è spesso frainteso.

In realtà, quell’amaro e quel piccante sono espressione diretta dei polifenoli, cioè delle sostanze antiossidanti naturali che rendono l’olio extravergine un alimento così prezioso per la salute.

La bocca percepisce la freschezza, la complessità, la profondità. Ogni nota racconta qualcosa: la cultivar, il tipo di terreno, la tecnica di estrazione, persino la stagione.

Se l’olio è equilibrato, se evolve in bocca, se lascia una scia lunga e pulita, sei davanti a un olio buono. Punto.

Olio nuovo sì, ma con giudizio

Il vero errore è pensare che un olio buono sia buono solo quando è nuovo.
È vero che nei primi mesi l’olio è più nervoso, carico di profumi e sfumature vegetali.
Ma un grande olio sa invecchiare bene. Matura, si ammorbidisce, si arrotonda.
Se è stato conservato correttamente, può regalare emozioni anche dopo un anno.

Il tempo, in questo senso, non è un nemico, ma un alleato. Basta saperlo rispettare.

Il frantoio come luogo di verità

Chi ha avuto la fortuna di visitare un frantoio nel periodo della raccolta lo sa: il profumo è ovunque, quasi balsamico.
Le macchine lavorano senza sosta, le mani si muovono come in una danza antica.

E vedere quell’olio uscire ancora caldo dalla centrifuga, torbido, carico di aromi, è un’esperienza che cambia il modo di guardare una bottiglia.

Per questo l’olio buono spesso lo trovi lì, non sugli scaffali del supermercato, ma nei luoghi dove nasce.
Dove puoi parlare con chi lo produce, dove puoi assaggiarlo mentre viene fuori, dove ogni dettaglio ha un nome, una faccia, una scelta.

Il tuo gusto come metro di verità

Infine, c’è una cosa che conta più di ogni altra: il tuo gusto personale.

L’olio nuovo ti piace? Lo senti troppo intenso? Preferisci uno più delicato, più rotondo?
Tutto va bene, purché tu abbia imparato a scegliere consapevolmente.

La qualità non è solo una questione tecnica, è anche una questione di sintonia.
Un olio può essere perfetto, ma non piacerti. Oppure può essere ruvido, spigoloso, ma proprio per questo irresistibile.

La cosa importante è non accontentarsi.
Non farsi ingannare da etichette dorate o da promesse da volantino.
Ma imparare a capire, davvero, cosa stai portando nel piatto.